Da Attendimi – Russia 1942-1946 – Diario di un medico in prigionia, Donato Guglielmi, Edizioni L'Arciere, Cuneo, 1993

 

Attendimi copertina11 maggio 1947

Sono seduto allo scrittoio del mio studio, in casa mia, dove tutto è come un tempo.

Mia moglie cuce tranquilla [...].

Io ho terminato or ora di trascrivere il mio diario.

Riandando all'ultima tappa del mio lunghissimo viaggio, ai pochi chilometri che da Tarvisio mi hanno portato a Genova, non posso dimenticare due sentimenti che hanno scosso profondamente il mio animo e il cui ricordo sarà indelebile: l'angoscia e la gioia. L'uno contribuì a rendere più profondo l'altro. [...] Noi, cui toccò la suprema fortuna di tornare, non possiamo dimenticare la folla che a ogni stazione attese il nostro treno.

Visi in lacrime, visi senza più lacrime, che si sporgevano gridando il nome caro. Voci attanagliate dal pianto che ripetevano le domande a cui nessuno aveva ancor dato risposta.

A ogni sosta, mani che ci afferravano per le braccia, che mostravano fotografie, quelle stesse fotografie che saranno ora sorridenti o pensose sulle pareti delle umili case.

A Udine, mi liberai dalla folla e cercai solitudine all'estremo di una pensilina. Non reggevo più, sarei scoppiato in singhiozzi. Mi sentii toccare una manica. Mi volsi: una bimbetta mi disse, con una vocina piena di angoscia, tanto contrastante con i suoi sei anni:

"Signore..." e accennò a una donnetta patita e vestita di nero, che teneva per mano un'altra bimba di quattro anni.

Essa mi venne incontro, quasi timorosa, e mi tese una fotografia sgualcita.

"Signore, non l'ha visto, in Russia? Era della Tridentina."

Circondai con un braccio le spalle magre della donna. Essa appoggiò il viso sul mio petto. Sentii le povere membra sussultare a piccole scosse, senza parole, senza lamenti.

Ebbi quasi rimorso di essere vivo.

A Treviso, il cavalcavia in prossimità della stazione era gremito di teste.

Da un altoparlante si levò una voce di donna:

"Chi ha notizie dei seguenti militari, favorisca all'ufficio notizie..."

Nel silenzio della moltitudine scesero uno dopo l'altro i nomi... Oh, quell'interminabile appello senza risposta!

La voce di donna seguitava il suo chiamare, sempre più stanca, sempre più sfiduciata, con le lacrime in gola.

Mi avvicinai alla ragazza che, di fronte al microfono, leggeva la lista. Di quando in quando una mano tremante porgeva un pezzetto di carta sgualcito su cui aveva scritto un nome: un altro disperso.

Il nome ricadeva sulla folla muta. Le lacrime represse e non più frenate erano sul viso di chi attendeva e di chi era tornato.

Un'ora durò lo stillicidio senza speranza.

Alla nostra memoria si presentarono a brandelli visioni di neve, di scoppi, di fuoco, visioni di colonne disordinate, in ritirata, infinite teorie di corpi in grigioverde riversi o bocconi sulla neve, gemiti di membra straziate, colonne lacere e cascanti nelle lunghe marce di prigionia, lettighe e fumosi bunker di Tambov, di Miciurinsk, di Krenovaja, lande siberiane, miniere polverose, campi di cotone...

La voce tremante di donna chiamava...

Ciascuno di noi sentiva che anche il proprio nome sarebbe potuto cadere così, nel silenzio di Treviso...

E questa sommergente angoscia rese ancora più travolgente, più incredibile, più che mai dono divino, la stretta convulsa di mia moglie e il momento inenarrabile in cui mi trovai fra le braccia dei miei cari.

 


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