“Intanto la colonna
Manfredi, costituita dai pochi resti del 1° [Reggimento] alpini e dei Gruppi di Artiglieria Mondovì e Val Po, [...] s’era mossa pur essa verso Valuiki [...].
Presto alcuni gruppetti, che erano sfuggiti alla cattura dei resti del Dronero e del Saluzzo, si aggregavano alla colonna recando la triste nuova della fine della colonna
Battisti.
A queste notizie il colonnello Manfredi decideva di portarsi su una pista più a sud [...], sempre però nell’intento di aggirare Valuiki.
Per dare un po’ di riposo ai suoi alpini, il colonnello Manfredi decideva di retrocedere su un villaggio da poco superato (forse Voronovka), ma questo era già stato rioccupato da partigiani e da un plotone di cavalleria cosacca il cui fuoco faceva parecchie vittime fra gli alpini. Era giocoforza impegnarsi e gli alpini ancora una volta riuscivano nell’intento di sloggiare il nemico.
[...] soltanto verso le ore quattro del 28 gennaio, la testa della colonna
i]Manfredi[/i raggiungeva il terrapieno della più volte menzionata ferrovia.
Il sergente Castagnino, inviato in ricognizione, riferiva che [...] non si notavano movimenti nemici. [...] Ma non appena giunta nei pressi delle isbe la colonna era sottoposta a un micidiale fuoco di armi automatiche e di bombe a mano.
Il colonnello Manfredi – con la sua ammirevole serenità, mai peraltro venuta meno durante dodici giorni di ripiegamento – [...] si prodigava per tener testa all’improvviso attacco. Ma invano. […] Pag. 86
“Della Cuneense rimanevano in campo, ma per poco, i resti del Mondovì che, in coda alla colonna
Manfredi, agivano come lontana retroguardia [...]. Giungevano così non lontano dall’abitato di Valuiki che era ormai il primo pomeriggio del 28 gennaio.
Davanti ai resti del Battaglione Mondovì [...], a circa un chilometro di distanza, si intravedeva una confusa massa di uomini della cui identità il capitano Ponzinibio intendeva accertarsi.
Intanto, dalla massa anzidetta, avanzavano tre uomini a cavallo con una bandiera bianca [...] che si presentavano al comandante del Mondovì, affermando – tra l’altro – che i tre generali italiani Battisti, Ricagno e Pascolini – pur essi prigionieri dal giorno precedente – avevano ordinato di cessare la resistenza per evitare ogni inutile spargimento di sangue.
Pertanto proponevano ai superstiti presenti la resa. Il capitano Ponzinibio, nella speranza che con il sopraggiungere della notte potesse sfuggire alla sorte ormai segnata, rifiutava.
Ma presto una tempesta d fuoco e l’avanzare di due grossi reparti di cavalleria con carri e mitragliatrici su slitte costringevano i presenti a deporre le armi.” Pag. 87
“Infine, un reparto del [Battaglione] Ceva [...] che per una violenta tempesta di neve aveva perso il contatto con i resti della colonna del 1° [Reggimento] alpini nel suo movimento verso ovest, riusciva a evitare per un pelo Valuiki.
Il reparto, rimasto isolato nell’immensità sconcertante della steppa, vagava per altri due giorni nella zona, col fermo proposito di scampare la mala sorte [...]. La sera del 30 gennaio si trovava nei sobborghi di Valuiki.
La zona sembrava sgombra dal nemico e idonea per una sosta ristoratrice [...]. Ma nella notte i Russi effettuavano con reparti di cavalleria un rastrellamento in forze per cui la resistenza del capitano Corrado e dei pochi alpini ancora validi veniva presto sopraffatta.
Così, tra il 26 e il 30 gennaio, nella zona tra Mandrova (a nord) – Roshdestveno – e Valuiki (a sud) finivano i resti della Divisione alpina Cuneense (e della Divisione di Fanteria Vicenza, con il Pieve di Teco). Gli uomini caduti in mano al nemico in quei giorni erano in buona parte feriti o congelati.
Tutti, senza più munizioni, erano stremati dalla fame, dalle privazioni, dal freddo, dalla immensa fatica sostenuta oltre ogni limite delle umane possibilità.” Pag. 87-88
(segue)