Salve, Pino.
Il film
I girasoli - nonostante la trama coinvolgente e la presenza di due attori come Sofia Loren e Marcello Mastroianni - non è credibile.
Durante il ripiegamento di certo alcuni dei nostri soldati - feriti, congelati, o semplicemente sfiniti - trovarono rifugio e aiuto nelle isbe.
I controlli da parte delle autorità sovietiche erano però minuziosi, il rischio di delazioni e di subire pesanti conseguenze per avere aiutato un nemico era troppo forte. Anche quegli Italiani finirono, prima o poi, nei lager.
Una testimonianza in proposito si trova nell'intervista a Lelio Zoccai. Scorra la terza parte dell'
intervista a Lelio Zoccai
e leggerà alcune righe su questo tema.
Non vi sono, inoltre, conferme ufficiali sul fatto che prigionieri italiani siano rimasti volontariamente a lavorare in Unione Sovietica quando i pochissimi sopravvissuti vennero rimpatriati.
A leggere quanto riferirono questi ultimi una volta rientrati in Italia, risulta del tutto evidente che la maggior parte dei catturati era già deceduta alla fine della primavera 1943: la sistemazione nei campi, se si considerano i primi mesi di prigionia, era pressoché incompatibile con la vita, come dichiarò il dottor Enrico Reginato dopo il rimpatrio, avvenuto nel 1954, dopo dodici anni nei lager.
Per organismi già debilitati dal freddo, dalle marce del davaj e dai terribili viaggi ferroviari, l'arrivo in campi in cui l'alimentazione era del tutto carente e in cui mancavano medicinali e assistenza medica, favorì l'insorgere di epidemie varie. La mortalità raggiunse percentuali altissime. Si stima che gli Italiani catturati furono tra i 60.000 e i 70.000. Solo 10.030 di essi tornarono.
Cordiali saluti.
Patrizia