Recensione di Patrizia Marchesini

 

 

Dal Fronte Russo Rattazzi copertinaUrbano Rattazzi è un nome che richiama alla memoria quell’alta società fatta di cultura, equitazione, vacanze in Versilia, musica classica, studi filosofici, feste, salotti raffinati e sport (quando ancora lo sport era un lusso per pochi).

Sposò Susanna Agnelli, sorella di quel Gianni che Urbano conobbe proprio al Fronte Orientale.

Partì nel 1941 e neppure la figlia Delfina, che ha curato la stesura di questo volume, ha capito o voluto appurare a quale reparto Rattazzi fosse assegnato.

Forse era un ufficiale di collegamento (oltre all’inglese e al francese, conosceva anche il tedesco). Di certo era andato in Russia per patriottismo: “negli anni della guerra era fascista, ma certo non gli sfuggiva il lato grottesco del regime.”, sostiene Delfina... che lo descrive come “snob e anche ostinatamente dandy.”

Rientrò in Italia nel 1942 perché aveva contratto l’epatite.

 

Il libro è un po’ diario, un po’ raccolta epistolare.

Le lettere, dettagliate e in apparenza scherzose, a volte infastidiscono; come quando, il 16 ottobre 1941, Urbano racconta di avere ricevuto complimenti per la propria eleganza e menziona guanti di Worcester foderati in pelo di cammello.

Il fastidio deriva, naturalmente, dall’immaginare che il Fronte Russo vissuto da Urbano Rattazzi fosse alquanto diverso da quello sperimentato dalla gran parte dei nostri soldati in linea.

 

Ma, al di là delle raffinatezze scanzonate e degli accenni alle corse ippiche a San Siro, ai cocktail e a calzoni di flanella, a cravatte costose e a tornei di tennis – che di certo erano parte integrante della vita di Urbano in Italia – si percepiscono con chiarezza una sensibilità e una profondità d’animo inconsuete.

Esse emergono, seppure ammantate di un disincanto che doveva essere un tratto del carattere di Rattazzi, nelle annotazioni che si susseguono delineando una Campagna di guerra molto personale, a livello emotivo.

Queste pagine aiutano a scoprire, almeno un poco, un uomo non comune.

 

Era il papà che, per far ridere i figli (e scandalizzare la moglie), intonava una canzoncina che era solito canticchiare al Fronte Russo con i suoi sottoposti:

 

Le scarpine / profumate / ricamate di seta verde /

per andare a pestare le merde / per andare a pestare le merde...

 

Ma era anche il figlio che, dopo essere tornato dal fronte, cercò di raccontarsi al padre, e di parlargli di Russia, trovando però “un muro di gelida indifferenza, un uomo impaziente e scostante, preoccupato soltanto dal fatto che si stava avvicinando l’ora in cui la famiglia di solito prendeva il tè.”

 

 

 

Urbano Rattazzi, Dal fronte russo 1941-1942, (Delfina Rattazzi, a cura di), Il melangolo, Genova, 2013

 


 

 

Leggi anche un brano del libro.

 

 


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