Recensione di Patrizia Marchesini

 

 

Diario DAloiso copertinaAlla partenza per il Fronte Orientale, nel luglio 1942, il caporal maggiore Silvio D’Aloiso decide di tenere un diario.
Il quaderno, al sicuro nella tasca della giubba militare, lo accompagna durante i mesi della Campagna di Russia, per poi andare incontro a una sorte travagliata. Nei giorni successivi all’8 settembre 1943 l’autore è a Bologna e per sfuggire alla cattura da parte tedesca trova rifugio presso l’abitazione della famiglia Nerozzi. Dopo una decina di giorni, D’Aloiso cerca di raggiungere casa sua, in provincia di Foggia. Lascia, però, il diario ai signori Nerozzi, pensando ai probabili rischi che avrebbe dovuto affrontare e al timore di perdere il quaderno. Passerà a riprenderlo in seguito, questi sono gli accordi. 
Silvio D’Aloiso ha l’opportunità di tornare a Bologna soltanto nel 1949, durante il viaggio di nozze, ma scopre che il diario è andato smarrito. 
Passerà gli anni successivi nel tentativo di riscrivere quanto aveva già annotato durante la permanenza al Fronte Russo. 
Nel 1983 il quaderno viene insperabilmente recuperato e consegnato al suo autore. Non entro nei dettagli, ma le circostanze sono a dir poco incredibili. 

 

Alcuni libri sono schietti e sinceri come certi vini... 

D’Aloiso, pur scrivendo in modo semplice, ci consegna un racconto ricco di particolari, che ha il grande pregio di una franchezza in alcuni casi disarmante. 

Ammette la sua fortuna quando, alla partenza del treno per la Russia, gli viene ordinato di sistemarsi nell’ultimo vagone della tradotta insieme ad altri tre bersaglieri: a loro è affidata la responsabilità del materiale che deve giungere al fronte. Questo consente a lui e ai commilitoni di passare giorni tutto sommato confortevoli, rispetto agli altri uomini sul treno. 

Questa fortuna sembra favorirlo anche in seguito: quale furiere di alloggiamento viene a trovarsi spesso lontano dalla prima linea e dai combattimenti sostenuti dal suo reparto, il XLVII Battaglione Motociclisti della Divisione Celere. Il paese di Klockovka viene descritto come un’oasi di pace e D’Aloiso ha l’occasione di instaurare rapporti di amicizia con la popolazione russa, in modo particolare con un ragazzo, Sciurka. 

A novembre lascia il villaggio e si ricongiunge al reparto. Inizia un periodo di spostamenti continui: il Battaglione viene spesso mandato nei settori più caldi del fronte. Dicembre è, per Silvio D’Aloiso, un mese drammatico. 

Poi inizia il ripiegamento e il dramma scivola verso la tragedia. 

È in quei giorni che la schiettezza dell’autore assume toni di critica anche severa nei confronti degli ufficiali superiori. Inoltre con onestà riconosce che il comportamento delle truppe italiane in ripiegamento non fu sempre esemplare. Il racconto oscilla tra il rimorso e la constatazione che “la fame è fame e che la guerra è brutta per tutti. Ecco: il difetto di noi Italiani che tanto terrorizzava i Russi era il furto dei beni alimentari sottratti loro. E non tanto per il danno economico provocatogli quanto per la difficile giustificazione da dimostrare ai Tedeschi, che degli animali d’allevamento, da loro censiti, erano i veri padroni.”[1] 

All’inizio del gennaio 1943 quanto resta del XLVII Battaglione Motociclisti viene diviso in due reparti e Silvio D’Aloiso viene assegnato alla Colonna Bartolucci, diretta a Starobelsk.[2] 

A fine marzo è in Italia. Dopo un periodo contumaciale di due settimane, a Pisa, D’Aloiso può finalmente raggiungere la sua famiglia. Il 17 aprile, alle quattro del pomeriggio, scende dal treno, pervaso da un’ansia crescente. Che sfuma nell’abbraccio affettuoso dei genitori. 

 

Un libro stampato affinché sia “un piccolo contributo per la pace. Per far riflettere e ribadire che nessun ragazzo debba essere mai privato della propria giovinezza, nessun bambino della presenza del padre, nessuna donna dell’amore del compagno, nessuna madre del figlio...”[3]

 

 

SIlvio D'Aloiso, Ritrovato dopo 40 anni – Diario della Campagna di Russia 1942-’43 del bersagliere Silvio D’Aloiso

Grafiche Quadrifoglio, Foggia, 1996

 


Leggi anche un brano del libro.

 



[1] Da Ritrovato dopo 40 anni – Diario della Campagna di Russia 1942-’43 del bersagliere Silvio D’Aloiso, pag. 202.

[2] Ibidem, pag. 172. La colonna prese il nome dal Maggiore comandante il Gruppo di carri armati L, ridotti – durante il ripiegamento – a sei. Era un reparto di formazione che, secondo D’Aloiso, non superava i cinquecento uomini. Comprendeva, oltre alla Compagnia di bersaglieri motociclisti di D’Aloiso (formata dai superstiti delle tre Compagnie del XLVII Battaglione), una Compagnia mitraglieri e mortaisti, una Batteria con quattro cannoni da 47/32 e i sei carri armati L suddetti. Ebbe il compito di proteggere il Comando dell’8ª Armata, rimanendo in retroguardia mentre il Comando stesso retrocedeva con una certa lentezza al fine di mantenere i contatti con le Unità tuttora operative e con il Corpo d’Armata alpino, a quella data ancora in linea sul Don.

[3] Sono parole di Marisa D’Aloiso, figlia di Silvio.

 

 

 

 

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