Sabato 1° novembre, alle ore 11.00, Don Gastone Barecchia ha celebrato la S. Messa nella chiesa San Sebastiano, a Venezia, in occasione del suo centesimo compleanno.

Il sacerdote, conosciuto come Don Croda (causa la passione mai sopita per la montagna), era divenuto cappellano militare nel 1936 e, quando il Vescovo chiese ai parroci veneziani chi fosse disposto a prestare servizio al Fronte Russo, fu uno dei cinque a rispondere. Venne assegnato al 2° Reggimento Artiglieria della Divisione Tridentina.

 

01.Disegno di Bruno Riosa Messa da campo celebrata da Don Barecchia 09.42

 

Ancora lucidissimo, non ha mai scritto diari o memorie. La sua mente è archivio prezioso di ricordi, aneddoti, episodi. Come la Messa del Natale '42, quando celebrò accompagnato dall'armonica a bocca di Don Gnocchi.

Giunto l'ordine di ripiegamento, il 17 gennaio 1943, aprì quella sorta di valigia che conteneva l'altare da campo e, sollevando paramenti e testi sacri, saltarono fuori le bottiglie di vino, la riserva per la celebrazione della Messa. Ne distribuì ad alcuni artiglieri del 2° Reggimento, per incoraggiarli, ben consapevole che i giorni a venire sarebbero stati duri.

Uno di essi – così racconta il sacerdote – sbottò, sorpreso: "Can de cappelan ecco dove nascondeva il vino."

Don Barecchia è convinto di avere evitato il congelamento ai piedi grazie ai consigli del suo attendente, un montanaro saggio che intuiva i pericoli risultanti da una marcia nella neve: spalmarono piedi e gambe con il grasso anticongelante destinato ai pezzi di artiglieria, indossarono due paia di calze e non tolsero mai gli scarponi per tutta la ritirata.

Ferito a una gamba da una granata che uccise sette alpini, venne caricato prima sul dorso di un mulo e poi su una slitta, da cui assistette alla battaglia di Nikolaevka.

Uscito dalla sacca, ancora giorni di marcia... poi il trasporto sino a Leopoli, in camion, e il ricovero in un ospedale tedesco. Il rimpatrio, la lunga convalescenza... Don Barecchia guarì, ma ancora oggi ha in corpo le schegge di quella granata.

Dopo la Campagna di Russia il sacerdote non riprese più servizio nell'Esercito, ma cercò di aiutare le molte famiglie di scomparsi che si rivolgevano a lui.

Dagli anni Cinquanta e fino al pensionamento fu cappellano nel carcere di Santa Maria Maggiore, a Venezia. Un giorno scoppiò una rivolta: i detenuti – decisi a ottenere migliori condizioni di vita – salirono sul tetto.

A capo della protesta vi era un detenuto soprannominato Kociss. Si cominciò con il lancio di tegole e, per evitare che la ribellione avesse conseguenze più gravi, Don Barecchia si arrampicò a sua volta sul tetto. In una famosa fotografia dell'epoca, la sua tonaca nera si staglia contro cielo. A un rivoltoso che pensò di chiedergli se non avesse paura di trovarsi così in alto, replicò che era stato cappellano alpino per sette anni. Questo, a suo parere, era spiegazione sufficiente.

 

 

Don Barecchia ancora oggi celebra la Messa tutti i giorni, ma durante quella di sabato scorso in tantissimi sono convenuti per testimoniare stima e affetto al sacerdote che ha dedicato tutta la sua vita al prossimo.

 

Fonti: Notiziario U.N.I.R.R. (n. 110 e n. 115-116), il Gazzettino on-line di Venezia, e La Campagna di Russia. Gli Italiani sul Fronte Orientale. Volume Quarto, di Stefano Gambarotto ed Enzo Raffaelli (Editrice Storica). Il disegno-caricatura è tratto da Disegni di un alpino, dalla steppa al lager – 1942-1945, di Bruno Riosa (Silvana Editoriale), che fu tenente del Gruppo Bergamo, 2° Reggimento Artiglieria, Divisione Tridentina.

 

 

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