Da La strada del davai, Nuto Revelli, Einaudi, Torino

 

Nei bunker le guardie russe non entrano più, tanti sono i morti.

Nevica, nei bunker, e quando c'è la tormenta la neve si infila da ogni parte.

Ogni mattina, all'alba, portiamo via i morti, tocca a noi sotterrare i nostri compagni.

Lavoriamo ormai soltanto a scavare le fosse, pensando che magari l'indomani toccherà a noi finirci dentro. Abbiamo un sistema pratico di collocare i morti, perché sfruttiamo bene lo spazio nelle fosse: a strati alternati, le teste di qua o di là sui quattro lati della catasta, tenendo conto che sono contorti, duri, con gambe e braccia piegate e rigide.

Le fosse sono appena al di là dei nostri reticolati, e poco lontane dal villaggio.

Con il caldo le fosse diventano un incubo. Putrefazione e tanfo insopportabile.

La gente del villaggio si lamenta, alcune squadre provvedono a ricoprirle con nuova terra. Anche a me spetta questo compito: per mia fortuna quando sono di turno i lavori sono ormai finiti.

 

Una sera cinque o sei tedeschi tentano la fuga. Uno riesce a superare i reticolati, a sparire. Un secondo supera una metà dei reticolati, poi rinuncia. Anche gli altri rinunciano.

I cani lupo partono come impazziti, raggiungono il fuggitivo, lo sbrindellano, lo ammazzano.

 

 

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