Da Russia 1941-1943, di Giuseppe Piergentili, Editrice Nuovi Autori, Milano, 1999

Tratto dalla testimonianza di Luigi Carestia – 6° Reggimento Bersaglieri

 

Luigi Carestia 6 Rgt. BersaglieriIl 25 gennaio 1942 partimmo con una tradotta militare varcando i confini italiani al Brennero. Attraversammo l'Austria, l'Ungheria, la Romania, arrivando allo scalo ferroviario di Uman. Da qui, a bordo di camion, dovevamo raggiungere Ivanovka, che era il punto della radunata generale del nostro Reggimento. Percorremmo 681 chilometri [...].

A Dniepro-Petrovsk ci fu lo smistamento dei vari battaglioni del 6° Reggimento ai settori operativi del fronte. Il XIII Battaglione fu trasferito con dei camion completamente nuovi e con degli autisti inesperti. Noi andammo a sostituire un reparto di paracadutisti tedeschi, nella zona di Ivanovka. [...] Nel nostro settore operativo ci furono vari combattimenti di notevoli proporzioni. [...]

Di pattuglia, per le perlustrazioni, mandavano quasi sempre il sottoscritto, oppure i soldati che – come me – erano più giovani, perché quelli più anziani o i richiamati magari avevano moglie e figli che li aspettavano a casa. Quando questi dovevano andare di pattuglia, spesso c'erano dei volontari che li sostituivano. [...]

Una sera [...] arrivammo a ridosso delle postazioni tenute dai Russi. La pattuglia era costituita da me – capo-pattuglia – dal caporal maggiore Spartaco e da La Cognata, un soldato siciliano. Io andavo in avanguardia quando, all'improvviso, vidi spuntare a poca distanza un gruppetto di energumeni dalla corporatura possente, probabilmente appartenenti a un reparto di mongoli.

Mi colpirono con il calcio del mitra e caddi a terra, perdendo i sensi. Ricordo che, a un certo punto, ripresi conoscenza e vedevo i Russi che, con le baionette inastate sulle armi, andavano infilzando qua e là nel mezzo dell'alta vegetazione della steppa. Il mio cuore prese a battere più forte e velocemente, al punto che avevo perfino paura che lo sentissero anche i Russi; sembrava una vecchia locomotiva a carbone.

Nella mia mente si faceva strada l'dea che per me fosse finita. Con questa idea e con la disperazione di chi si sente alla fine, mi preparai al tutto per tutto. Presi le bombe a mano che ancora avevo, tolsi la spoletta di sicurezza, le impugnai e rimasi in attesa. Io sarei morto, ma con me sarebbe venuto anche qualche Russo. Ma di nuovo persi conoscenza.

Quando ripresi i sensi, mi ritrovai in un ospedaletto da campo nelle retrovie. Pensando che mi trovassi prigioniero, spinto dall'ira, pensai di ammazzarne qualcuno.

Presi le bombe che ancora avevo addosso e le stavo per gettare, quando sentii gridare: "Fermo, siamo Italiani!"

Poi mi raccontarono più dettagliatamente cosa era successo. Il terzo componente della pattuglia era riuscito a tornare indietro e a dare l'allarme. Quando giunsero sul posto trovarono me svenuto e sanguinante. In mezzo ai corpi dei soldati Russi, oltre a me, vi era il caporal-maggiore, ucciso con dei colpi di baionetta. [...]

Al pronto soccorso mi avevano curato diciassette ferite, tutte superficiali e provocate da schegge di bombe a mano lanciate durante lo scontro dei Russi con la pattuglia che era venuta in nostro soccorso [...].

 

Potrei raccontare anche un fatto curioso. Quando partimmo da Bologna per la Russia, gli Emiliani di estrazione comunista parlavano dei meriti del comunismo e lo lodavano. A costoro, quando andavamo all'attacco, dicevo: "Be', ecco, se volete adesso potete farmi fuori e andare di là!", ma nessuno si muoveva, perché sapevano che li avrebero ammazzati come fringuelli.

Una volta ci fu un attacco russo e i nostri bersaglieri resistettero accanitamente, ricacciando indietro i reparti attaccanti.

Per questo fatto a un nostro caporal-maggiore fu concesso un encomio solenne, come riconoscimento per l'azione svolta. Ebbene, andava disperandosi perché diceva che al suo paese la notizia non sarebbe piaciuta, perché anche a quei tempi, da quelle parti, il comunismo era assai radicato.

 

L'immagine del bersagliere Luigi Carestia è tratta da I Santesi Weblog.

 

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