Osvaldo Palleschi (Divisione Torino), prigioniero in Unione Sovietica

25/02/2016 20:42 #1 da Patrizia Marchesini


La signora Antonella Palleschi ci ha invitati a pubblicare la storia del suo papà, Osvaldo, al Fronte Russo con la Divisione Torino e sopravvissuto alla prigionia nei lager sovietici.
Osvaldo, purtroppo, è mancato nel 2010.
L'articolo che proponiamo è di Gianpiero Pizzuti, giornalista di Isola del Liri (in provincia di Frosinone), che lo ha pubblicato su Facebook.

Copio e incollo, dopo avere avuto (tramite Antonella) anche l'autorizzazione del signor Pizzuti.

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Un isolano in Russia... Osvaldo Palleschi...
Nato ad Isola del Liri in l'11 dicembre 1922, ma gran parte della sua vita l'ha vissuta ad Arpino, sino alla fine dei suoi giorni.

Mi raccontò la sua storia davanti ad un camino acceso nell'ottobre del 2005 per "Il messaggero", prima da soldato, poi da prigioniero nei campi di concentramento sovietici: ”Era l'anno 1940 quando mi arruolai – ricorda con occhi lucidi e bagnati da qualche lacrima Osvaldo Palleschi – .

Il giorno del Venerdì Santo 1941 partimmo per il fronte Slavo ed a salutare le truppe c’era S.M. Vittorio Emanuele III Re d'Italia.
Verso la prima decade di giugno del 1941 arrivò il cambio da altro Reggimento e tornammo in Italia a Roma.
Nella capitale rimanemmo poco il tempo necessario per organizzarci per andare sul fronte africano, ma, proprio mentre completavano l'equipaggiamento coloniale ci fu il contrordine: si va in Russia!

A salutarci, lungo via dei Parioli venne il Duce in persona. Il Corpo assunse la denominazione di C.S.I.R. cioè: Corpo di Spedizione Italiano in Russia ed era comandato dal Generale Giovanni Messe. Arrivammo a Borsa (Ungheria) e qui ci furono consegnate le munizioni ed a sera iniziammo, a piedi, ad andare in prima linea. Attraversammo i monti Carpazi; valicammo a quota 1500.
L'81° ed 82° Reggimento, appartenenti alla Divisione "Torino", avevano raggiunto il fiume Don; zona di combattimento.
Al C.S..I.R. fu assegnata la conquista dell'Ucraina. Bisognava conquistare il bacino industriale del Don; si cercava di sfruttare al massimo il tempo in quanto con l'arrivo dell'inverno avremmo avuto più difficoltà nell'avanzare.

In queste azioni di guerra fummo affiancati dai Tedeschi, dai Rumeni e dagli Ungheresi. Fino a questo punto della guerra le perdile italiane erano state alquanto contenute. Le difficoltà di adattamento alle temperature molto basse iniziarono a dare grossi problemi. La temperatura scese da -30 a -35 gradi sotto zero.
Eravamo mal equipaggiati, con le divise, i "pastrani", poco adatti a coprirci in un ambiente molto diverso dalla nostra Italia. Iniziarono i primi decessi per congelamento.

Sul Donez nei giorni 25, 26 e 27 dicembre del 1941 ci furono due grosse offensive nemiche: ma resistemmo in questa posizione fino al giugno del 1942.
Nel luglio del 1942 dall'Italia arrivarono i rinforzi ed il C.S.I.R. cambiò nome. Da quel momento si chiamò A.R.M.l.R. L’8ª Armata in Russia era composta da 220 mila uomini comandata dal generale Italo Garibaldi. Con la buona stagione riprese l'avanzata verso il Don. Molti centri caddero sotto l’incalzare delle nostre truppe. Il Don era sempre più vicino. Fino al mese di settembre fu un susseguirsi di vittorie e dopo aspre e dure battaglie, finalmente, arrivammo sulle sponde del fiume Don. Eravamo stremati!

Il cambio non arrivava, gli uomini stanchi, mal nutriti, ma con onore e coraggio tenevano le postazioni conquistate. Le Divisioni Pasubio e Torino, che combattevano in prima linea, dopo aver ricacciato ancora una volta il nemico ricevettero l’ordine di ripiegare Le truppe russe ci stavano accerchiando, fu tentato di formare una linea di difesa ma, ormai, era troppo tardi.
Chi cadeva a terra spesso moriva dopo pochi secondi, lo ho visto con i miei occhi, rialzammo un paio di soldati, che erano caduti davanti a noi. Il tempo di piegarci e rialzarli, che i loro corpi erano già rigidi.

La mattina del 22 dicembre del 1942, però, la cavalleria cosacca ci attaccò. Sprovvisti di ogni difesa non avevamo ne armi e ne munizioni avevamo abbandonato tutto durante la ritirata e la nostra difesa fu del tutto inesistente, nonostante ciò ci fu un autentico massacro. I cosacchi non avevano pietà per nessuno. Erano per di più di origine mongola e molti preferivano suicidarsi più di cadere tra le loro mani.

Fummo fatti prigionieri e dopo due giorni e due notti di marcia giungemmo sul Don. Molti di noi si precipitarono in acqua per poter bere non mangiavamo e bevevamo da giorni, l’unica cosa che si riusciva a mettere in bocca era la neve. Il ghiaccio, però, era poco spesso, non resse al peso delle persone e si ruppe molti annegarono, una scena che spesso è tornata ad agitare le mie notti anche a distanza di anni. Non potemmo salvarli, non avevamo ne i mezzi e ne la forza di poterlo fare.

Marciammo per circa otto giorni. Sporchi, sfiniti, affamati giungemmo il 6 gennaio 1943 al campo di concentramento di Tambow - Lager n.188. Eravamo circa 28.000 prigionieri di ogni nazione, di ogni razza.
Il cibo era scarso e nel campo non c’era un medico od un posto dove poter essere curato. Restammo nel campo fino al giugno 1943; dei 28.000 ne eravamo rimasti circa 5000; tutti gli altri erano morti per congelamento, dissenteria, tifo. A me fu amputata la falange dell'alluce per un principio di congelamento.

Fummo mandati nella Siberia orientale vicino ai monti Urali; vi rimasi fino a dicembre del 1943.

"Come sei sopravvissuto - gli domando - per due anni?"

La mattina lavoravo nei campi con dei contadini del posto che mi davano da mangiare. I tedeschi non li voleva nessuno, li odiavano, noi italiani, invece, eravamo ben voluti. Quando nel campo si diffusero i pidocchi mettemmo i nostri vestiti sotto la neve, ma con grande stupore la mattina quando li riprendemmo i pidocchi da neri erano diventati bianchi, ancora vivi.

Fui trasferito, successivamente, nel campo 29/2 di Tashent nella Russia asiatica. Qui rimasi sino al giorno della liberazione.
Il 6 ottobre 1945 arrivò la notizia tanto attesa: la libertà ci rimpatriavano. Impiegai 47 giorni per tornare a casa dalla Russia.

Giunsi davanti al cancello di casa mia mentre mia madre stava per uscire dalla porta; feci appena in tempo a mormorare... "Mamma."


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Ringraziamo Antonella Palleschi per avere voluto condividere con noi questa testimonianza semplice ma molto efficace: ci ha scritto che il suo papà si rammaricava spesso che nessuno ascoltasse il racconto della sua esperienza di guerra e di prigionia.
Siamo grati anche a Gianpiero Pizzuti, per avere acconsentito all'inserimento del testo nel nostro forum.

Per amore di precisione - e non certo per puntiglio - segnalo che nel testo sono presenti piccoli refusi e imprecisioni, che nulla tolgono all'efficacia e scorrevolezza della narrazione.

Quando, nella parte iniziale del racconto, si accenna alla partenza e al valico dei Carpazi, non è esattissimo dire che i due Reggimenti Fanteria della Torino avevano raggiunto il Don.
Il C.S.I.R., come noto, lasciò l'Italia nel luglio 1941, ma le nostre truppe giunsero al Don solo un anno dopo, nel pieno dell'estate 1942.

Poche righe dopo è scritto che era necessario "conquistare il bacino industriale del Don": credo ci si volesse riferire all'avanzata e ai combattimenti dell'autunno 1941 e al bacino del Donec (o Donez, o Donets... dipende dalla traslitterazione... fiume che poi venne varcato nell'estate 1942, dopo la ripresa dell'avanzata).
Infatti, in seguito Osvaldo accenna al bacino del Donec dove si svolse la Battaglia di Natale 1941.

Ufficialmente i componenti dell'Armata Italiana raggiunsero quota 229.005 (quindi un po' più dei 220.000 citati nell'articolo). Essa era comandata da generale Italo Gariboldi (e non Garibaldi, ma questo è con ogni evidenza un semplice errore di battitura).

Cordiali saluti.

Patrizia
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26/02/2016 23:43 #2 da Riccardo
chissà se la signora Antonella, che saluto caramente, ha qualche altro ricordo da condividere , magari qualche dettaglio del giorno in cui il papà venne fatto prigioniero . Mi farebbe piacere, inoltre, sapere quali sono stati il rgt e il batt di Osvaldo.

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28/02/2016 12:10 #3 da Patrizia Marchesini
Ciao, Riccardo.

Non so se la signora Antonella abbia avuto modo di leggere quanto ho inserito nel presente forum.
Le avevo inviato un msg, per avvertirla, fornendole il link per accedere in modo diretto e veloce a questa discussione.

So, tuttavia, che Antonella ha un diario dattiloscritto del suo papà... si riservava di ricontrollarlo ed - eventualmente - di inviarcene scansione dopo avere raffrontato alcuni dettagli presenti nell'articolo con quanto Osvaldo aveva descritto nel diario stesso.

Ma al momento non ho più avuto sue notizie.


A risentirci.


Patrizia

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28/02/2016 18:15 #4 da Riccardo
Grazie Patrizia
speriamo che la sig.a Antonella voglia condividere il diario del papà.
Nell'attesa , un saluto
Riccardo

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28/02/2016 20:46 #5 da Patrizia Marchesini
Naturalmente, se la signora Antonella ci invierà scansione del diario, provvederemo in qualche modo alla sua pubblicazione (e ne daremo notizia anche in FB, come di solito facciamo per quanto riguarda i nuovi articoli).

Ciao, e buona serata.

Patrizia

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