Salve, dottor Di Gioia.
Innanzitutto, benvenuto nel forum.
Ci siamo sentiti via mail e, visto che ha postato la sua richiesta anche qui, incollo di seguito il testo della mia risposta di ieri sera...
[...] Purtroppo nelle pubblicazioni in mio possesso non ho trovato nulla che parli della 1ª Compagnia Chimica.
Ha citato il Foglio Matricolare di Pietro.
E' in possesso anche del Verbale di Irreperibilità?
In caso, può procurarselo scrivendo all'Albo d'Oro - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - dopo avere compilato un
modulo
di richiesta informazioni e allegando copia fronte/retro di un documento di identità valido.
La invito anche a dare uno sguardo alla Guida per le ricerche disponibile nel nostro sito www.unirr.it: al file-guida è possibile accedere dalla home-page, oppure dalla Sezione ricerche del menù.
Se lo desidera, mi invii una foto di suo zio Pietro, e la pubblicherò nella galleria-immagini dedicata ai caduti, ai dispersi e ai morti in prigionia (meglio un file .jpg in formato mezzobusto).
Nella consapevolezza di non avere fatto molto per aiutarla, invio i migliori saluti.
Ho sottolineato la prima frase perché - dopo averle inviato la mail - stamattina ho avuto un ripensamento, uno strano
tarlo... così ho ricontrollato il libro
Fronte Russo: c'ero anch'io - Vol. 2°, a cura di Giulio Bedeschi ed edito da Mursia.
Così mi sono accorta che - tra le quasi ottocento pagine di testimonianze - mi era sfuggito il breve racconto di Giuseppe Gitto, all'epoca assegnato proprio alla 1ª Compagnia Chimica!
Mi stavo accingendo a spedirglielo via mail, poi ho visto il commento nel forum... per cui lo incollo di seguito.
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Un gruppetto di quattro soldati
Il 14 gennaio 1943 ebbe inizio la ritirata nella cittadina di Rossosch, in cui mi trovavo per servizio, come aggregato alla 425ª Sezione CC.RR. [Carabinieri Reali] di stanza lì.
Quel mattino, alle ore sei, ero di servizio di pattuglia assieme al carabiniere Armando e a un poliziotto civile locale, e si doveva dare il cambio all'altra pattuglia; ma, giunti sul posto, non vi era nessuno.
Mentre si pensava il da farsi, si odono degli spari... in lontananza, prima, e poi molto vicini, e si notava un certo trambusto, specie fra i soldati tedeschi.
Domandando cos'era successo, nessuno sapeva dire niente in merito, ma presto ce ne siamo resi conto noi stessi di che si trattava, poiché a meno di cento metri di distanza abbiamo visto dei carri armati russi che passando per la strada mitragliavano da per tutto.
Vedendo ciò, si fa subito rientro in Sezione [quella dei Carabinieri Reali], ove vi era il comandante, che di tutti gli uomini presenti ha formato delle squadre avviandoci all'assalto ai carri armati, e a fare rastrellamento nelle isbe dove vi erano soldati russi nascosti che sparavano su di noi. Infatti, dopo un po', ho visto il cadavere di un mio compagno: era il soldato Salvatore Rigoli (siciliano di Messina).
Vedendo ciò, io sono rimasto molto scosso e impressionato.
Nel frattempo giunse l'ordine di ritirarci in Sezione, e tenersi pronti perché venivano dei camion a prenderci, ma questi non sono stati sufficienti per tutti, così una buona parte siamo rimasti a terra, costretti a incamminarci a piedi lungo la via coperta di neve e gelo, e per di più al buio, che era già notte.
Lungo codesta marcia piena di tanti pericoli si andava avanti con il chiarore delle granate che scoppiavano dappertutto, quindi con pochissima speranza di rimanere sano e salvo. Si andava verso la cittadina di Kantemirovka.
Noi eravamo un po' uniti fra di noi, un gruppetto di quattro soldati della Compagnia Chimica, ed erano assieme a me: Maggi (di Torino), Falqui (della Sardegna) e Vannitiello, di Avellino.
Il secondo giorno di codesta estenuante marcia, lungo la strada avemmo l'occasione di trovare un camion italiano con sopra un ufficiale e pochi soldati (sempre italiani) che gentilmente ci hanno presi con loro... e via di corsa.
Vi era un freddo insopportabile, poiché detto camion era senza il telone di sopra, quindi sotto le stelle; però non bastando ciò, ad un tratto della strada il camion rimase infangato fra un gran mucchio di neve.
Visto ciò noi tutti senza alcun altro mezzo, solo le mani, dopo sovrumani sforzi non siamo riusciti a liberarlo per continuare la corsa; e così si decise di abbandonarlo e riprendere la marcia a piedi.
Ogni strada che si prendeva, si sperava ci portasse in qualche villaggio per trovare almeno un riparo per la notte, che nel frattempo era giunta.
Dopo aver marciato per qualche ora si vedono a distanza delle ombre, cioè sagome più o meno come le isbe. Via, di corsa in quella direzione; giunti sfiniti, poiché vi era una bufera di neve asciutta come la sabbia, abbiamo avuto un'amara delusione, poiché dette sagome non erano altro che dei pagliai. Ci siamo messi a provare a fare un buco nell'interno per ripararci, ma invano... non si poté riuscire.
Noi, il solito gruppetto di quattro, facciamo ritorno al camion abbandonato, cosa molto difficile, data l'oscurità; fortunatamente, dopo parecchio girare, ci siamo riusciti, e rovistando da per tutto in cerca di qualcosa da mangiare, infine in una cassetta di medicazione vi era una boccetta piena di alcool puro; però il nome scritto sopra non c'era.
Il soldato Maggi, esperto in materia, ha riconosciuto che si poteva bere. Così per tutta la notte, raggomitolati nell'unica coperta che ognuno avevamo, ogni tanto ci passavamo quella boccetta per un piccolo sorsetto, che ci riscaldava tutto il corpo; e chiamandoci per nome spesso e muovendoci come si poteva (perché se ci vinceva il sonno era il congelamento di sicuro) fortunatamente giunse il giorno ed eravamo sani e salvi tutti e quattro.
Quella boccetta di alcool è stata la nostra fortuna, poiché si seppe, giorni dopo, che in quella notte la temperatura era scesa a 45° sotto zero.
Dopo di ciò, giorno dopo giorno, si proseguiva sempre a piedi; la notte ci si rifugiava in qualche isba per ripararci dal freddo, e un po' per la fame. Ma era tutta gente povera e non aveva niente da poterci offrire; soltanto qualcuno ci dava qualcosa da poter mangiare, qualche piatto di capusta [cavolo cappuccio] e cetrioli.
A me capitò questo: una sera, in un'isba, vi era una specie di stufa accesa e noi eravamo giunti molto bagnati. Allora ci mettemmo tutti intorno ad asciugarci. Io ho messo gli scarponi un po' vicini alla stufa e al mattino, quando li ho calzati, si sono rotti mezzi, perché bruciati... e dovendo metterci nuovamente in marcia, unica soluzione: prendere una coperta, fare delle strisce e avvolgerle alle scarpe; e così mi toccò di camminare per diversi giorni, finché un giorno incontrai il mio comandante di Compagnia che fece il possibile per farmi avere un altro paio di scarponi.
Finalmente si era giunti alla città di Gomel, ove vi era un Comando militare italiano, che ci raggruppava e ci spediva per l'Italia in carri bestiame, stipati al massimo, più di sessanta uomini in un carro, per notti e giorni ammucchiati uno su l'altro con tutti gli insetti [pidocchi] addosso.
Era una vera tortura, ma dopo tutto il passato avere la fortuna di poter fare ritorno a casa sano e salvo, non si sentiva tutto ciò.
Questo mio rimpatrio è avvenuto in aprile 1943.
Soldato Giuseppe Gitto
1ª Compagnia Chimica
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Due considerazioni sul racconto.
La prima puntata di carri armati alla città di Rossoš' avvenne alle prime luci del 15 gennaio 1943.
Gli avversari furono respinti con il contributo di tutti gli uomini presenti, ma tornarono il giorno successivo: il 16 gennaio, dunque, Rossoš' - che era sede del Comando di Corpo d'Armata alpino - cadde in mano sovietica e non venne più ripresa.
Il giorno ancora seguente (17.01.43) ebbe inizio il ripiegamento dell'intero Corpo d'Armata alpino.
Giuseppe Gitto riferisce che il gruppetto di cui faceva parte - lasciando Rossoš' - si diresse a Kantemirovka.
Non so bene come interpretare questa frase: Kantemirovka era caduta già il 19 dicembre (e non venne più riconquistata dalle truppe italiane).
Si trova a sud, rispetto a Rossoš', e da quella direzione venivano i carri sovietici.
Quindi, ripeto, fatico a comprendere tale scelta di itinerario... a meno che Gitto non abbia confuso il nome della località con un'altra.
Un saluto.
Patrizia
P.S.
Giulio Bedeschi riportò in calce al volume gli indirizzi di quanti avevano contribuito alla stesura con una testimonianza.
Giuseppe Gitto - all'epoca della pubblicazione - viveva a Leumann, una frazione di Collegno (TO).
Dalle Pagine Bianche on-line non emerge nessun
Giuseppe Gitto che - oggi - viva a Leumann.
Ma in un raggio di una decina di chilometri da tale località risultano soltanto cinque persone con il cognome
Gitto.
Due di esse si chiamano
Giuseppe e vivono a Torino. Per motivi di privacy non posso indicare qui recapiti e indirizzi.
Ma si tratta di una ricerca che può fare lei stesso.
Al suo posto, trattandosi di cinque soli nominativi, li chiamerei tutti. Chissà. In bocca al lupo...